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Nello studio di Viola Di Massimo: le linee sinuose di “un pensiero fisso”

15 Luglio 2013 - ARCHIVIO
Nello studio di Viola Di Massimo: le linee sinuose di “un pensiero fisso”

 

 

“Nasco nel 1986, sì, su carta da spolvero, è vero, ma sono comunque nata. Ero fatta di forme opulente e grottesche, ero l’antitesi del mondo anoressico che avevo attorno a me e che in quel periodo era esploso.

Negli anni sono cambiata, in ogni segno ho assunto pose compiacenti, vanitose,tormentate, provocanti, dimesse, indecise, implacabili, ironiche e stupite; accompagnata sempre da croci, cuori neri e immancabili collane.

Sono la sintesi di tutte le donne del mondo, della storia che mi ha preceduto e che ho vissuto.”

 

Così si apre Autobiografia di un pensiero fisso, opera poetica e figurativa di Viola Di Massimo. Così si entra sommessamente nella dimensione artistica, che è anche personale di Viola.

Il pensiero fisso che l’accompagna è la fedeltà a se stessa e alla scelta operata come atto d’amore nei confronti del genere femminile, inteso nell’estensione più ampia del termine, che diviene opera artistica tout court, ma anche immagine vivida e rarefatta allo stesso tempo, di un percorso prima di tutto interiore.

A nascere nel 1986 infatti fu proprio la “protagonista” delle sue opere: tracciando delle linee morbide su carta, venne alla luce una donna rigogliosa nelle forme, dalle labbra arricciate, con i capelli arruffati, talvolta ammiccante e sensuale, talvolta grottesca e sbarazzina. Questa “protagonista” è cresciuta con Viola, dai banchi del liceo artistico fino ad oggi, nutrendosi delle sue esperienze, dando forma alle sue emozioni, un volto alle sue riflessioni… in un gioco teso ad inventare nuove declinazioni del proprio sé, quello dell’artista e della sua creatura.

Entrare nello studio dove lavora Viola equivale a fare un tuffo indietro nel passato. Belle èpoque? Gli “anni ruggenti”, i ’20 e i ’30, dello scorso secolo? Magari semplicemente un’altra dimensione… Mentre si cerca una collocazione spazio temporale per ciò che si vede, per ciò che si ascolta, per ciò che si respira, ci si lascia avvolgere dai toni caldi e ipnotici di un rosso dominate. Rossi gli sfondi adoperati per le tele, come rosse le calze indossate dalle protagoniste che le animano. Rossi i drappi che ornano l’ambiente, e rosso il grosso copricapo che è l’elemento unificatore tra realtà e creazione artistica: viene infatti indossato dalla donna/invenzione di Viola e da Viola stessa quando è interprete dei suoi corti.

Abbiamo già evidenziato infatti come l’opera della Di Massimo sia completa, totale. La sua protagonista esce spesso dalla tela, acquisisce una voce e un corpo tridimensionale. Lo fa nei monologhi teatrali, ne è un esempio “Lettera d’amore contemporanea”, andata in scena al Teatro dei Documenti, oppure nei video che progetta e realizza lei stessa.

Un percorso prolifero e sorprendente quindi, frutto di un lavoro, meticoloso e appassionato, che porta avanti dalla laurea all’Accademia di Belle Arti di Roma. Anni che l’ hanno vista impegnata in esposizioni e progetti culturali, che hanno aperto altre prospettive, arricchito gli scenari delle sue storie.

Viola Di Massimo è un’artista generosa, che generosamente raccoglie e generosamente ridona. Lo si capisce anche dall’accoglienza riservata a chi ha avuto il piacere di andarla a visitare nel suo atelier a Via Rodolfo Morandi 3, in zona Nuovo Salario:

Una volta entrati “nel tuo regno” ci si perde tra i mille preziosi particolari delle tue opere che troviamo disseminate ovunque. Difficile focalizzare l’attenzione su un unico punto, seguire un filo del discorso.  Si scopre che ogni oggetto qui ha un valore simbolico e artistico. Dalle sedie accanto al tavolino, alla piccola valigia con le ali che vedo penzolare dal soffitto. Ci si sente piacevolmente storditi da questa scenografia in cui si muove e vive la protagonista delle tue opere, ma anche tu. Puoi raccontarci come è nata e si è evoluta l’idea che ti ha portato alla realizzazione di tutto ciò dal lontano 1986?

Questi particolari disseminati ovunque, erano dal principio solo piccole idee appena nate che poi sono cresciute prendendo vita nel divenire.

Prima del 1986 c’era solo una grande attività onirica, molta immaginazione e un po’ di colore, poi nel 1986, dopo tanti studi e troppi tentativi più che sbagliati, è uscita dalla mente per atterrare su di un foglio di carta la protagonista delle mie opere: è concretamente “nata” e da lì siamo cresciute insieme, parallelamente e con rispetto reciproco.

Lei si è evoluta e spero anche io, ci siamo scambiate idee, utopie e abbiamo trovato ognuna il modo di far crescere l’altra in un pensiero e in uno stile sempre più intenso.
Tutto ciò si è evoluto giorno per giorno come accade naturalmente nel vivere di ognuno di noi.
Ogni presente vissuto ha creato pittoricamente qualcosa: prima un segno, poi una pennellata, poi un cappello rosso, una sedia viola, una collana nera, delle tende rosse…  nella realtà è accaduta la stessa cosa e di conseguenza ho realizzato e fatto quindi apparire gli stessi identici elementi: un segno a matita, un cappello di velluto rosso, una sedia di ferro e velluto viola, una collana di perle in legno nero e delle tende di raso rosso.

Nel mio atelier non sai dove guardare, è vero, è come se lo spettatore (ma anche il creatore di questo caos) fosse pervaso da infiniti flashback che uniscono le immagini di vita reale e irreale dell’autore dal 1986 ad ora, senza alcun filo conduttore logico.

Ci si sente storditi perché ogni elemento viene percepito dallo spettatore secondo il proprio sentire ma questo è anche amplificato dal sentire dell’autore che ha creato quel dire.

Lo stordimento sta nell’incontro di  sensazioni quasi assordanti che hanno luogo in una dimensione diversa: una dimensione fatta di cromie, segni, pensieri, turbamenti e percezioni di ogni genere.

La valigia con le ali che scende dal soffitto? Come sedie, pavimenti, collane e quasi tutto il resto appartiene ad un sogno notturno, solitamente funziona così: sogna e immagina, escogita e in qualche modo realizza.

Se l’immaginazione è straordinaria, l’immaginazione e la realtà insieme lo sono ancora di più.

Possiamo definire la donna protagonista dei tuoi lavori il tuo alter ego o una propaggine di Viola stessa?

Sì, forse posso dire che è il mio prolungamento e anche il mio alter ego, ma ancora è il prolungamento di chi mi ha preceduta perché credo fermamente nei patrimoni comuni, quelli che fanno sì che io sia anche la sintesi di chi mi ha preceduta.
Ogni gesto ed ogni posa possono essere appartenute ad altre persone in un tempo che non è più il nostro, per cui per me è più giusto dire che questo sia un prolungamento generazionale o un alter ego non solo mio. Ciò mi turba e mi appassiona: cose fondamentali in una ricerca artistica.

 Viola Di Massimo: Autobiografia di un pensiero fisso

Le tue linee sono morbide, sinuose. Senti di realizzare una “pittura femminile” nella sua espressione o una pittura che omaggia la dimensione femminile? Che cosa significa essere donna per Viola Di Massimo? 

Di linee morbide e sinuose ne ho semplicemente bisogno, in quelle linee che ondeggiano c’è musica, morbidezza, calma, continuità, eterno movimento, danza, potenza, vitalità, impeto, grande forza e passione.

Se poi l’unione di tutto ciò si riassume nel femminile chissà, forse è una semplice conseguenza perché per me essere donna vuol dire prima di ogni cosa essere individuo.

Le tue opere sembrano esaltare un’epoca ormai andata, appartenente alla fine del XIX secolo e l’inizio dello scorso. Dal tuo punto di vista allora si viveva con più autenticità? Cosa secondo te abbiamo perso d’importante, e cosa invece siamo riusciti a conquistare oggi che prima non c’era?

Abbiamo perso certamente il senso della bellezza e con lei l’umanità ed il senso dell’altro che ne fanno parte, ma abbiamo anche conquistato molto, voto alle donne compreso… se penso che lo abbiamo solo dal 1945 rabbrividisco e penso che siamo andati molto avanti in questi pochi anni. Se invece penso ai “femminicidi” e alle brutali violenze di genere, penso che siamo ancora molto, molto indietro.
Immagino che la bellezza fosse ovunque, nell’autenticità dell’epoca,  più banalmente nelle pose vanitose che commuovevano un po’, nei vestiti con i merletti, nei gesti leggeri, nell’attenzione per gli altri, nelle camminate per raggiungere un luogo o in una missiva scritta a mano con dedizione ma soprattutto, nella lotta dignitosa fatta da donne (ma anche uomini) per tentare di raggiungere la parità.
Ora? Non c’è tempo, non c’è proprio.
E se invece si ha un po’ di tempo? Lo si spende per somigliare più a qualcun altro che a se stessi, la prima cosa che mi viene in mente sono semplicemente i volti quasi tutti identici che annullano già da subito la cosa più inestimabile che abbiamo e che ci eguaglia tutti: la diversità, l’unicità.
Sono sempre più convinta che l’accettazione del diverso e la consapevolezza dell’unicità annienterebbe ogni forma di insofferenza e violenza… ma questa non accettazione purtroppo appartiene ad ogni tempo.

Trovo spesso molto poco tollerante anche chi si muove perseguendo i propri ideali; sia verso chi la pensa in modo diverso, sia verso chi sta ancora cercando una propria idea. Non so come dire ma sento una grande stanchezza e insoddisfazione del sé intorno a me e un’immensa grande rinuncia, spesso la sento forte come il continuo lamento di un malato immaginario.

Con ciò non vorrei vivere nel XIX secolo, no, assolutamente, voglio vivere qui e ora e contribuire ad un pensiero sano, guaritore autentico e al senso dell’altro.
Non che abbia dei poteri particolari per tutto ciò perché anche io vivo in questa era ed è difficile la fedeltà in se stessi ma anche io voglio portare avanti le conquiste fatte fino ad ora: sono fermamente convinta che ognuno di noi possa aggiungere, grazie al proprio vivere e alle proprie piccole-immense scoperte, un pezzettino di storia e quindi, desidero partecipare anche io all’inserimento di un tassello, ad una piccola conquista collettiva.  In caso contrario, la mia opera “Autobiografia di un pensiero fisso” e la mia poetica artistica non avrebbero alcun senso.

Da qualche anno ho aperto lo studio non solo per appuntamenti ma anche ad eventi musicali e teatrali in cui propongo i miei monologhi e opere di altri, proprio perché l’unione di varie diversità che si incontrano in un’opera-ambiente unico mi appaga: avere nel mio studio tante persone da conoscere come mondi nuovi, che vibrano sotto i riflessi rossi delle tende, le tante luci basse, i dipinti inseriti ovunque e vederli confrontarsi, conoscersi, vivere una dimensione umana e autentica mi commuove ed entusiasma; sembra di vivere le atmosfere di alcuni studi di artisti passati, di essere nei dipinti di Lautrec in cui le persone che affollavano una sala si guardavano negli occhi.
Cosa c’entra tutto ciò con i dipinti e la tua domanda? In effetti ho divagato ma le mie opere possono ricordare il passato ed essere lo stesso molto presenti, mentre l’autenticità, volendo, si può trovare ancora, anche in uno studio d’artista all’ottavo piano di una quasi periferia di Roma.

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 Sei un’artista che ama le contaminazioni: la pittura, la grafica, la drammaturgia, la produzione video. Come è nata l’esigenza di adoperare nuovi linguaggi? In che modo riescono a coesistere armoniosamente?

Coesistono perché nascono da un’unica mente, è la stessa idea che si esprime con mezzi diversi e sperimenta nuove strade per richiudersi in un unico pensiero.
Non avrei potuto mai dipingere il monologo “Lettera d’amore contemporanea” ma interpretandolo ho potuto ricreare un dipinto in movimento corredando l’attrice di collana, cappello rosso, vestito nero,  tacchi grotteschi e pavimento a scacchi, per far sembrare che il dipinto abbia preso vita e stia parlando; come d’altronde un dipinto non può esprimere ciò che invece può un testo.
Un disegno o un dipinto sono silenziosi, arrivano nelle nascoste profondità di alcune anime recettive che si incontrano con quella dell’autore in un luogo desueto.
I dipinti raccontano costruzione e dedizione; i disegni a matita invece sono altro ancora, sono passione e istinto: è come una storia d’amore in cui il sentimento costruito con dedizione e l’impeto della passione convivono in  un equilibrio perfetto.

 

In cosa consiste e che valore ha il successo per Viola Di Massimo?

E’ la domanda che mi feci nei primi anni ’90 durante gli anni dell’Accademia di Belle Arti. Dopo aver girato per varie gallerie e parlato con tanti “addetti all’arte”, stremata e delusa dalla poca o addirittura nulla attenzione per le mie opere, per il fatto che non ero riuscita a sapere quanto e se potessi essere valida come artista, mi feci proprio questa domanda: ma cos’è il successo per me in realtà?

Mi risposi che non era la notorietà ad ogni costo, l’avere molto denaro o l’attenzione di un bravo gallerista, si vive davvero troppo poco per dare troppo valore a ciò: il successo per me era l’idea di poter vivere una vita libera, libera di vivere e sperimentare il mio denso senso dell’arte, in silenzio.

All’epoca però avevo la piccolissima sensazione, il dubbio, che questa risposta potesse essere una conseguenza della poca attenzione ricevuta, lo avevo messo in conto ma adesso è indubbio, lo penso tutt’ora: il successo per me è il poter vivere una vita libera, libera di vivere e sperimentare il mio denso senso dell’arte anche in silenzio.

E ringrazio sempre chi ha sostenuto questo mio desiderio e anche chi non l’ ha sostenuto perché non c’è dubbio: chi a tutti i costi non ti sostiene,  mette certamente alla prova.

E noi ringraziamo Viola, per averci aperto prima il suo studio con la sua arte, poi i suoi pensieri… e il suo animo.

di Giorgia Sbuelz

 

www.violadimassimo.com