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Roma – Off Off Theatre – EMMA B. VEDOVA GIOCASTA, 18/20 febbraio 2020

18 Febbraio 2020 - VI PROPONGO

A cura di : C. Fabi e R. Savona

di Alberto Savinio

con Elena Croce ed Elisabetta Furini  

Regia Alessio Pizzech  

Assistente alla Regia Elisabetta Furini | Luci e Spazio Scenico Riccardo Gargiulo e Valeria Foti

Produzione Associazione Teatro di Buti | Produzione Esecutiva Associazione Sicilia Teatro

VIA GIULIA, 19, 20, 21 – ROMA

Sotto la Direzione artistica di Silvano Spada per l’Off/Off Theatre, Sicilia Teatro presenta lo spettacolo “Emma B. – Vedova Giocasta”, un testo cardine di Alberto Savinio, interpretato da Elena Croce ed Elisabetta Furini, dirette da Alessio Pizzech. L’opera è il sunto della poetica saviniana che, partendo dal rapporto madre-figlio, ridiscute con crudeltà un sistema di relazioni alla ricerca di una possibile verità in grado di travalicare barriere, limiti e confini.

SINOSSI:  

Una lettera annuncia alla signora Emma il ritorno del figlio Millo dopo quindici anni di separazione. Nel monologo che ne precede l’arrivo Emma B. ripercorre sul filo della memoria il cammino della sua autocoscienza di madre: dalla rievocazione dello stratagemma con cui essa aveva salvato il figlio, nel gennaio del ‘44, durante una perquisizione della polizia, al ricordo del momento di verità che aveva accompagnato l’ingresso di Millo nell’età adulta, allorché vedendolo dentro i panni riadattati del padre, ella aveva finalmente riconosciuto in lui il suo vero uomo. Emma B., per anni, dopo l’abbandono da parte del figlio, ne aveva allineati i vestiti, custoditi in un armadio, appendendoli a una corda, in una pratica fattasi quotidiana. Quei vestiti, in grado di raccontare l’intero iter esistenziale del figlio, avevano finito per acquistare medianiche potenzialità evocative. Millo, assente, è nelle parole della madre la vittima di un destino cui tentò invano di sottrarsi, ma anche Emma B. rivela nel finale un attimo di esitazione di fronte all’estremo atto della sua insubordinazione al principio di autorità incarnato dal marito. È per ribellarsi a quel principio che ella ha preso a muoversi sul terreno della trasgressione. Con la rimozione di ogni traccia mnemonica dell’esistenza del marito e con l’esercizio del potere, connesso con il suo nuovo status di madre, Emma B. aveva iniziato l’opera di riscatto della propria situazione di donna. Il vero eroismo della maternità di Emma B. sta nell’aver accettato la pregiudiziale indispensabile alla condizione di madre: la sudditanza a un estraneo. Il suo egoismo sta nell’aver messo a segno un progetto che contemplava nel figlio maschio la propria rivalsa di donna, di essere condizionato dalla ricerca di un complemento. Complemento che, una volta creato, va educato nella dipendenza, nella convinzione a lungo conculcata che altrove sia vana la ricerca della felicità. L’armadio dei vestiti racconta le tappe di questa servitù, le somiglianze fisionomiche delle donne incontrate dal figlio con i tratti del proprio volto costituiscono per Emma B. altrettante conferme della riuscita del suo disegno. Dopo l’inutile calvario sentimentale della sua vita, Millo è ora pronto a ritornare da lei, ad ammettere con il ritorno la propria sconfitta. Il monito oscuro, la negazione di ogni felicità esterna, la promessa tranquillante di un microcosmo sotto tutela, non sono che alcune delle armi cui ricorre questa madre per trattenere il figlio, e dove più non vale l’autorità interviene la lusinga, l’affascinante trasformazione finale, che la vede pronta ad attrarre il partner con la seduzione dei sensi.

Note di Regia:

Talora con gli occhi del bambino, talora assumendo le forme delle sue creature surreali, Alberto Savinio ha sempre comunque indagato il cuore ipocrita del “tipo italiano” e ha sempre cercato nelle pieghe del sogno, dell’onirico e del visionario una prospettiva nuova per arrivare al cuore di una verità sempre scandalosa e per tanto rivelatrice. Il mio incontro con questo autore già avvenne molti anni fa quando misi in scena un suo divertente testo intitolato “La Famiglia Mastinu” e nella stessa stagione ideai un lavoro che raccoglieva vari suoi scritti sotto il titolo “Il circo del Signor Dido”. Anni dopo, con Marion D’Amburgo, attraversammo la spinosa e potente scrittura scenica dell’autore italogreco, con un lavoro dal racconto “La nostra anima” (con anche un’edizione radiofonica per RadioTre Rai) e poi di nuovo Savinio toccò le corde del mio intelletto quando realizzai un recital tratto dal suo bellissimo libro: “L’infanzia di Nivasio Dolcemare”. Insomma per me Savinio resta un incontro folgorante. Questo suo voler disinnescare i meccanismi ipocriti borghesi e familiari, è indicatore di una capacità sovversiva che la sua scrittura porta con sé e che oggi può rappresentare uno strumento di conoscenza e osservazione per un cambiamento profondo che la società italiana deve chiedere a se stessa; in questo costante “sconfinamento” risiede la ricchezza di senso della scrittura di Savinio. Egli ci invita, con ironia, a dissacrare noi stessi, le regole che come adulti ci siamo dati, conservando quello sguardo bambino, artistico, che può illuminare il buio “del dolore del presente”.