Le mutazioni delle piante sono alla base della biodiversità vegetale, su cui ha operato la selezione naturale, che ha favorito la colonizzazione degli ambienti terrestri ed acquatici. Le mutazioni sono dunque variazioni del patrimonio genetico necessarie all’evoluzione ed introdotte spontaneamente da rare imprecisioni della macchina replicativa del DNA.
Le mutazioni ed i mutanti naturali hanno consentito il notevole progresso dell’agricoltura favorendo la domesticazione delle piante coltivate per oltre 10.000 anni, attraverso la continua e costante selezione artificiale operata dall’uomo.
A cavallo tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 le teorie di Mendel hanno posato le fondamenta per la nuova scienza genetica e per lo sfruttamento degli incroci e della realizzazione degli ibridi. Nasceva così la genetica agraria moderna che ha intensamente impiegato la variabilità naturale, e dunque il bacino di mutazioni disponibili, mediante una approccio formale e razionale all’ereditabilità dei caratteri utili.
Il progresso del miglioramento genetico avveniva in modo stabile, accumulando successi costanti. Un grande contributo fu dato alla cosiddetta rivoluzione verde, dall’uso di mutanti negli incroci, attraverso l’introduzione di importanti caratteri in varietà coltivate di cereali che hanno conseguentemente incrementato notevolmente le rese.
Tuttavia il guadagno nelle caratteristiche agronomiche utili avveniva con un ritmo relativamente lento, a causa ad esempio del limitato accesso alla biodiversità disponibile ed a problemi connessi con le capacità combinatorie di alcuni genotipi selvatici.
Intorno al 1930 il breeding in agricoltura si arricchì di nuovi e potenti strumenti a seguito della scoperta delle radiazioni ionizzanti, quali raggi X e gamma, e della loro azione mutagena sul DNA. Questa loro capacità fu sfruttata per indurre artificialmente mutazioni in specie coltivate, in modo da aumentare la disponibilità di mutazioni utili al fine di ottenere mutanti non reperibili in natura o eliminati dalla selezione naturale.
La mutagenesi chimica, scoperta successivamente, ha rapidamente sostituito quella fisica sia per la semplicità di utilizzo delle sostanze chimiche, sia per il meccanismo di azione degli agenti chimici che consente di ottenere mutazioni puntiformi (SNPs), e dunque serie alleliche con mutanti attenuati molto utili per il miglioramento genetico. Le radiazioni provocano invece mutazioni da inserzione, delezione o riarrangiamento cromosomico, che conducono inevitabilmente a perdita di funzione dei geni o a cambiamenti letali.
Nasceva così il breeding mediante mutagenesi che ha condotto, nell’arco di circa 80 anni, allo sviluppo ed impiego di oltre 3.200 cultivar in tutto il mondo. Grazie a questi indubitabili successi, la mutagenesi è un metodo di supporto al breeding oramai universalmente considerato classico e sicuro.
L’approccio tipico della mutagenesi consiste nel trattamento di semi o piante, mediante irraggiamento o esposizione all’agente chimico, per ottenere una prima generazione chimerica, definita M1. I semi M2 prodotti, vengono raccolti da ogni singola pianta e messi a dimora in campo per l’osservazione fenotipica e per la ricerca di caratteristiche di interesse, quali ad esempio resistenze a stress biotici ed abiotici. Lo studio fenotipico rappresenta, come per il breeding tradizionale, il collo di bottiglia. Bisogna infatti ricercare eventi di mutazione molto rari, anche se indotti da agenti chimici o fisici, e spesso le dimensioni delle popolazioni da valutare sono molto grandi ed il lavoro altrettanto intenso.
L’approccio classico seguito dalla mutagenesi classica viene definito di genetica diretta, ossia parte dall’individuazione del fenotipo e prosegue con la ricerca del genotipo, ossia del gene mutato che ha generato le caratteristiche osservate.
Il rapido sviluppo della biologia molecolare e del sequenziamento, a partire dagli anni 90, ha reso disponibili sequenze di geni delle piante coinvolti in vari meccanismi molecolari e vie metaboliche. Questa conoscenza, associata negli anni recenti dalla pubblicazione delle sequenze genomiche complete di molte specie coltivate, ha consentito di invertire l’approccio classico di genetica diretta. Si può oggi progettare una determinata caratteristica basandosi sull’interferenza con la normale attività di uno o più geni candidati coinvolti in funzioni note. Questo approccio, definito di genetica inversa, poiché parte dal genotipo per arrivare al fenotipo, può essere ottenuto attraverso vari strumenti, messi a disposizione dalle tecnologie molecolari, in grado di silenziare o interferire con il gene bersaglio.
Tra le tecnologie disponibili il TILLING assume una posizione di particolare rilievo. L’approccio TILLING si basa sulla combinazione della mutagenesi chimica con alcune moderne tecnologie di rilevamento di SNPs ad elevata efficienza. In pratica il TILLING si fonda sulla costruzione, di una popolazione di mutanti, mediante trattamento con EMS, opportunamente progettata per saturare il genoma, da cui viene estratto il DNA. Si ottiene così una banca di DNA a cui corrisponde in modo preciso una banca di semi di mutanti. La ricerca delle lesioni sul gene bersaglio viene effettuata sul DNA estratto mediante screening molecolari in grado di evidenziare la mutazione indotta. Una volta individuata la mutazione, i semi corrispondenti al mutante vengono impiegati per la valutazione fenotipica e la conferma dell’ereditabilità delle caratteristiche osservate. Il TILLING, sviluppato inizialmente su Arabidopsis, ha poi trovato applicazioni su colture di interesse quali brassica, pomodoro, riso, melone, medicago ed anche in animali come i pesci.
Lo sviluppo di una piattaforma di TILLING su pomodoro da industria, realizzato dal Centro Ricerche Metapontum Agrobios, ha evidenziato la potenza di tale approccio per l’ottenimento di mutanti di interesse per il miglioramento genetico di questa importante coltura agraria.
In questi ultimi anni si sta assistendo allo sviluppo di approcci molto accurati e precisi per indurre mutazioni in specifiche posizioni dei geni. Questi metodi, definiti di editing genomico, impiegano sofisticati sistemi molecolari, basati ad esempio su elementi TALEN/FokI o CRISPS/Cas, in grado di riconoscere le sequenze target ed indurre la rottura dal DNA in posizioni precise, in modo da indurre mutazioni durante la riparazione del DNA. Con questi approcci sono stati ottenuti interessanti risultati in piante modello e colture, quali Arabidopsis, riso, frumento, inducendo mutazioni in grado di produrre anche resistenze a malattie.
La mutagenesi nell’era delle scienze ‘omiche ‘appare dunque rinvigorita ed in grado ancora di riservare notevoli sorprese, promettendo importanti contributi per le nuove sfide che l’agricoltura dovrà affrontare nell’immediato futuro per “nutrire il pianeta”.