Di: Fabiana Carucci
Controlli per individuare soggettia a rischio e prevenzione possono fare la differenza nel fermare e rallentare una malattia che si insidia 20 anni prima di diventare manifesta.
La Fondazione IGEA nasce occupandosi di una delle patologie più insidiose che va a colpire l’essere umano nella parte terminale della vita: l’Alzheimer. Questa non è solo una malattia ma è un nemico invisibile e subdolo che si insidia nel cervello umano e lì inizia il suo nero lavoro in silenzio, erodendo pian piano il corredo neuronale fino ad arrivare al tilt che porta all’evidenza della malattia.
Chiunque è stato accanto ad un malato di Alzheimer sa quale calvario porti con se’ questa patologia, sia per chi viene colpito attivamente, che per coloro che affiancano, accudiscono e convivono con il paziente. A pieno titolo si può affermare perciò che l’Alzheimer non è solo una patologia; l’Alzheimer è un nemico sibillino ed invisibile che in silenzio inizia a lavorare all’interno della mente, bruciando pian piano pezzi di vita, ricordi, memorie, dignità.
La ricerca non ha ancora trovato una cura definitiva per fermare questa malattia del corpo che va a mortificare anche l’anima; ad oggi si può solo cercare di rallentare al massimo la progressione e, soprattutto, si può agire d’anticipo andando a prevenirne la manifestazione e ad individuare i soggetti a rischio, così da poter arginare i fattori maggiormenti scatenanti.
Il cervello, nel suo invecchiamento, perde pian piano lo smalto e la reattività dei suoi primi anni di vita, ma questo non vuol dire che si debba lasciare campo libero al tempo che passa ed ancor di più ad una malattia che corrode e distrugge il cervello. Giocare d’anticipo si può e si deve ed oggi è possibile, ponendo in essere una serie di accorgimenti ed attivando strumenti atti a mantenere il cervello attivo e funzionante al meglio.
“Questa patologia è particolarmente insidiosa – afferma Giovanni Anzidei Vicepresidente della Fondazione IGEA – per tutti, ma un pochino di più per le donne, per le quali c’è, non solo una maggiore influenza di manifestazione della malattia, ma va anche considerato il fatto che molto spesso proprio sulle donne ricade l’onere dell’assistenza. Nel Vertice del G7 che si è di recente svolto, in merito all’Alzheimer è stata presentata una stima che prevede una forte crescita esponenziale di questa patologia nei prossimi anni, dovuta anche all’aumento della popolazione in terza età, nonchè alla prospettiva di vita umana che sfiora quasi il secolo“.
Il fattore età è un elemento nodale nel valutare la presenza dell’Alzheimer poichè, all’avanzare degli anni di vita è legato il manifestarsi della malattia che, erroneamente si crede insorga in tarda età, quando invece nasce molti anni prima di divenire evidente e, cosa ancora più insidiosa, lo fa senza manifestare alcun sintomo che possa anche solo generare un sospetto.
Tutta una serie di fattori collaterali sono molto importanti nell’andar a favorire l’insorgere dell’Alzheimer: per questo portare una correzione fin dalla più giovane età e comunque prima possibile, potrebbe fare la differenza. A partire dall’inquinamento atmosferico, fino a tutta una serie di stili di vita errati, va infatti considerato un cambio totale di modello di vita, per non lasciar mano libera ad una patologia che devasta letteralmente corpo ed anima di chi è colpito e di chi è attorno.
Questa patologia è ritenuta particolarmente insidiosa poichè può appunto insediarsi ed iniziare ad agire anche 20 anni prima di manifestarsi. Al suo insorgere nel cervello, l’Alzheimer inizia una progressiva ed irreversibile distruzione delle sinapsi prima e dei neuroni poi, laddove il cervello, che è un organo formidabile, accorgendosi del problema chiama a raccolta i neuroni e le sinapsi che restano per andare a compensare quelli perduti per sempre. In questo modo si mantiene per lunghi anni un’apparenza di normalità, laddove il soggetto in cui è in atto la progressiva ed inarrestabile erosione neuronale, per molto tempo non ha alcun sintomo ne’ alcun segno che possa lasciar immaginare che sia stato colpito dall’Alzheimer. La malattia diviene infatti manifesta solo quando si arriva ad un punto di distruzione tale, che le sinapsi ed i neuroni restanti ed ancora attivi nel cervello non riescono più a compensare l’attività perduta di quelli andati distrutti. Da lì il manifestarsi dei primi sintomi ed il rapido e progressivo peggioramento, che porta alla devastazione fin troppo nota.
Quando si manifestano i primi sintomi; questo si credeva fosse il momento in cui il soggetto veniva colpito dalla malattia. Errato! Ecco perchè è necessario oggi giocare d’anticipo per cogliere la patologia all’inizio del suo insediamento o, ancor meglio per prevenirne l’insorgenza. Nel momento in cui il soggetto viene dichiarato affetto d’Alzheimer si scopre la punta di un Iceberg che si è formato almeno 15, se non 20 anni prima. Tornare proprio a quegli anni indietro ed agire in quel momento diventa quindi la nostra unica sola arma; l’unica di cui attualmente siamo in possesso, perchè solo agendo d’anticipo si può far qualcosa di valido, qualcosa che può portare la differenza negli anni a venire e nel manifestarsi di questa patologia.
In virtù di tale considerazione, la Fondazione IGEA sta promuovendo una cultura della prevenzione, affiancando la ricerca di cui segue attentamente il lavoro ed i progressi. “Grazie alla ricerca – prosegue Anzidei – ci sono oggi strumenti e sistemi di diagnosi precoce che ci possono permettere di individuare le persone a rischio e, una volta individuate, scatta il protocollo di ricerca e si interviene per vedere di rallentare al massimo l’insorgenza o il progresso della patologia. L’attività di prevenzione messa in moto dalla ricerca può e deve comunque essere affiancata anche da una serie di comportamenti e stili di vita che vanno assunti per garantire la massima salute possibile. Ci sono dei comportamenti, infatti, che incidono fortemente sulla progressione della malattia e che sono ben illustrati in un recentissimo studio che ha pubblicato LANCET e che sono: obesità, depressione, fumo, eccessivo consumo di alcool, sedentarietà e bassa scolarità“. In particolare, in merito a quest’ultimo fattore, è stato dimostrato che un’attività intellettuale scarsa equivale ad una mancanza di allenamento del cervello. Come dire che mancando la palestra intellettuale, il cervello è meno allenato alle reazioni e quindi cade più facilmente in tilt, favorendo la rapida progressione dell’Alzheimer. “Chi nell’arco della sua vita – specifica Anzidei – non ha fatto molto uso intellettuale del cervello, ha una più alta probabilità di cadere nella malattia, di chi invece l’ha tenuto in costante stimolazione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di fare stimolazione del cervello a tutte le età e in qualunque momento, poichè questo è risultato essere un fattore cruciale atto a tener tonico e in salute il cervello. La sedentarietà è un altro fattore molto importante: i sedentari infatti hanno circa l’82% in più di probabilità di ammalarsi di Alzheimer, rispetto a chi svolge attività fisica“.
Per l’Alzheimer ancora una cura non c’è, ma anche quando la ricerca la individuerà, si dovrà sempre e comunque andar a giocare d’anticipo e ad agire prima che il corredo neuronale sia distrutto. Ecco perchè attuare fin da subito il corretto stile di vita fa la differenza, laddove è stato dimostrato che questo può in parte neutralizzare i fattori di rischio, che incidono per circa il 35% sul manifestarsi della patologia. A questo, oggi si affiancano specifici test e controlli neuropsicologici preventivi, atti ad individuare i soggetti a rischio e da lì ad attivare un protocollo ad hoc per cercare di arginare al massimo i fattori di rischio che maggiormente incidono su quello specifico soggetto a rischio, così da allontanare quanto più possibile l’insorgere di que mostro chiamato Alzheimer.
Per saperne di più ed anche per prenotare un contollo neuropsicologico atto ad individuare la preventiva insorgenza della malattia:
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