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IDEE E SPETTACOLI DI, ENZO MASCI

26 Maggio 2013 - ARCHIVIO

 

Di: Fabiana Carucci

 

 

 

Enzo Masci è nato a Roma ed è attore, regista, autore teatrale.

Enzo ha mosso i “primi passi” della sua carriera artistica nella seconda metà degli anni ’90, al di fuori dei circuiti “ufficiali” della formazione teatrale classica. Entrato poi in contatto con quel che resta dell’ambiente dell’avanguardia romana, ha iniziato quindi ad approfondire lo studio dell’arte teatrale attraverso laboratori e scambi con figure di spicco italiane e non. Un taglio particolare alle sue elaborazioni nasce da numerosi e frequenti contatti con l’ambiente artistico statunitense. L’unione di una visione “americana” con quella più classica “italiana” delle arti sceniche lo ha portato infatti ad avviare una ricerca personale sul teatro ed i suoi codici comunicativi.

Attualmente svolge la sua attività di attore in collaborazione con varie Compagnie: è invece regista ed autore con la Compagnia Teatrale Bracci-Schneider (http://www.braccischneider.eu) della quale è anche direttore artistico.

Oltre allo spettacolo “E basta co’ ‘sto Shakespeare”, da lui scritto, diretto ed andato in anteprima nazionale a Roma nel mese di maggio, nella stagione in corso ha diretto anche:“Fiori d’acciaio”, di Robert Harling,  in scena a Roma, Genova e Chiavari, oltre a “Che ci fai nel mio letto?”, presentato nella Capitale al Teatro dei Conciatori. Ha partecipato nel 2011 al XVII International Theater Festival di Amman, Giordania, con lo spettacolo “Clan Macbeth”, vincitore del premio della critica.

  

Enzo, facciamo un salto nel passato, a quando sei salito la prima volta su un palcoscenico…

ENZO: Immagina uno spazio vuoto, nero come solo il buio vero può essere: silenzioso, di un silenzio terrificante.

Fino a pochi minuti prima c’era una specie di penombra, con voci e rumori che crescevano morbidi da dietro quella tenda che ti separa dalla sala: rumori nati da un brusio leggero, divenuti poi un vociare altissimo che ascoltavo attentamente finchè il tutto non mi ha totalmente invaso, lasciando poi un indelebile sentore di quanto c’è sotto il palco e di tutti quegli occhi che osservano, quelle aspettative che ti attendono là fuori. D’un tratto tutto si è spento ed è stato di nuovo silenzio. Sei lì, sul palco, col suono di quel rumore interrotto che continua a ripetersi intorno a te come una cosa viva. E poi di nuovo luce, e niente fuori, solo tu in quel mondo diverso che hai costruito e che per te è vero, vivo e pulsante. Spezzato in due, una parte di te che fluttua in questa realtà di cinque metri per cinque, grande come un universo; un’altra parte, invece, è li che controlla il timone e fa rotta verso un approdo finale che non sai se sarà la spiaggia di un applauso o lo scoglio di un silenzio imbarazzato. E occhi che guardano e mani e gesti e parole che vengono fuori come se fossero tue da sempre; come se nascessero per la prima volta. Pomeriggi passati a studiare, sere in sala prove, solo per quelle due ore da spendere travestito in un ruolo, in una vita che non è tua ma che esiste perché è il tuo essere attore che l’ha resa reale. Poi tutto si spegne di nuovo e sei solo, lì, in quella sala dove è accaduto qualcosa di straordinario. Pensi. Cerchi di realizzare cosa è accaduto. Cavolo, è il teatro! È come per i vampiri, che succhiano la vita degl’altri per poterne vivere una che a loro non è stata concessa. E allora capisci, per la prima volta, cosa significa guardare dentro te stesso, in profondità, anche in quei luoghi nascosti dell’anima che fino a quel momento non avevi voluto osservare. Il viaggio ha inizio. Benvenuto a bordo della tua stessa nave.

 

In questi anni è cambiato il modo di ricezione del messaggio e delle emozioni trasmesse da uno spettacolo teatrale al pubblico? Pensi che oggi fare teatro implichi una differente modalità di approccio al pubblico?

ENZO: Il teatro deve essere fatto per trasmettere qualcosa agli spettatori: si tratta uno scambio nel quale il pubblico è parte fondamentale quanto chi sta in scena. Vado a teatro anche come spettatore e troppe volte mi capita di uscire dalla sala così come ci sono entrato; senza cioè aver ricevuto nessuna emozione da chi era sul palco. A volte mi sembra di aver assistito più ad una prova auto celebrativa, un esercizio di psicodramma dei protagonisti, che uno spettacolo fatto per “dialogare” con il pubblico.

Il teatro fa sempre più fatica a sopravvivere. C’è qualcuno che lo ha addirittura dichiarato morto perché non interessa più alla grande massa, perché il pubblico è attratto da altre forme di spettacolo. È vero, la televisione è gratis, sempre disponibile ed offre un’ampia varietà di scelta: rappresenta una grande concorrenza, ma li tutto è filtrato, assopito dalla mancanza di contatto diretto, dall’avere uno schermo che divide persona da persona.

Io credo che non sia il pubblico ad essere cambiato, ma che sia il teatro ad essersi allontanato dal pubblico che è invece sempre pronto a ricevere un messaggio, un’emozione. Nel mio piccolo cerco sempre di tenere gli spettatori al centro di qualsiasi progetto: il mio scopo è di lavorare su più livelli: da quello più superficiale dell’intrattenimento puro e semplice, fino a portare messaggi più profondi con diversi contenuti e significati. Cerco di fare in modo che lo spettacolo sia fruibile da chiunque: da chi ha voglia solo di staccare la spina per un paio d’ore e lasciarsi andare senza pensare, come da quanti invece sono alla ricerca di un senso profondo. Purtroppo per troppi anni la regola sembra essere stata invece quella di ignorare il pubblico per lanciarsi esclusivamente in uno sfoggio di ricerche utili solo a chi le fa. La ricerca è utile ed ha senso solo se porta a qualcosa di nuovo, a modalità innovative di comunicare emozione a chi guarda. Io credo che il teatro debba tornare ad essere un donarsi allo spettatore e non un esercizio di dialogo di nicchia, interessante solo per pochi eletti o per addetti ai lavori.

 

Il tuo ultimo lavoro, “E basta co sto Shakespeare”, andato da poco in scena all’Accento Teatro, a Roma, ha fatto registrare il tutto esaurito in ogni serata. Una commedia moderna che fa il verso al passato, ma anche uno specchio della realtà degli artisti di oggi in Italia. Una risata dolce-amara?

ENZO: Ho cercato, come dicevo prima, di lavorare su più livelli e questa scelta è stata premiata: tutto esaurito ogni sera e con un pubblico misto. Da chi voleva solo divertirsi agli “addetti ai lavori” che hanno guardato con occhio critico. La soddisfazione più grande è stata quella di essere riusciti ad interessare ogni spettatore che è stato con noi. Ho voluto fare in modo che chiunque potesse gustare lo spettacolo e portare a casa con sé qualcosa. Una commedia dolce-amara? Sì, direi che a livelli più profondi di lettu
ra si possa anche dare questa interpretazione.

“E basta co’ ‘sto Shakespeare!” può essere visto da due angolazioni diverse. Una di queste è sicuramente la rappresentazione del nostro mondo di attori, con tutte le difficoltà che siamo costretti ad affrontare ogni giorno. Sia chiara una cosa, altrimenti sembra che ci stiamo sempre lamentando: io dico sempre ai miei attori che devono cercare di essere i più bravi di tutti, così che non possano essere ignorati. Sono fermamente convinto che la qualità nel lavoro, la professionalità e le capacità individuali alla lunga paghino sempre. Sono altrettanto convinto, però, che si dovrebbe essere anche messi in condizione di poterlo dimostrare. Noi, inteso come compagnia teatrale, tutto quello che facciamo, lo facciamo con le nostre sole forze; non chiediamo denaro pubblico.

Ci basterebbe dunque non essere massacrati da una burocrazia asfissiante che toglie energie e risorse a chi vuole fare e trovare soluzioni positive e propositive. Il “nome” va bene, ma non può essere l’unico criterio di valutazione per accedere a spazi e risorse. Siamo d’accordo che ci debbano essere degli aiuti alla cultura ma vorremmo che questi aiuti venissero dati anche dove ce n’è bisogno. Se ho un paio di stampelle forse è meglio se le do a chi ha difficoltà a camminare invece che ad un centometrista olimpionico. Il problema è che il nostro non è considerato un lavoro. Basti pensare che un attore, per legge, non può lavorare da solo come professionista: ma qui entriamo in un campo del quale si potrebbe parlare per giorni. Per quello che mi riguarda, e questo è un mio pensiero personale, i fondi per la cultura possono essere tranquillamente aboliti perché servono soltanto a creare divario e barriere all’ingresso di questo mondo artistico.

Passando all’altro aspetto del nostro spettacolo, quello più strettamente legato a Shakespeare ed a questa scelta, tutto è nato dalla forte curiosità che proprio questo autore mi ha sempre suscitato. Nel sentire questo autore c’è chi inorridisce e chi si esalta, chi dice che è noioso e chi  che è meraviglioso: non c’è mai una reazione che non sia estrema. L’unico punto fermo è che, nella quasi totalità dei casi, di Shakespeare la gente conosce il nome e poche parole, ed è raro trovare qualcuno che, a richiesta, sappia associarvi di più di un “essere o non essere” o di un “oh Romeo, Romeo, perché sei tu, Romeo?”.

  La cosa peggiore è che troppo spesso anche chi dovrebbe essere “del mestiere” non conosce nulla di più di questo incredibile autore se non poche nozioni accademiche. Shakespeare è, secondo me, relegato al mondo delle traduzioni pompose e degli esercizi di stile. Mi sono chiesto perciò  se fosse stato possibile fare avvicinare il pubblico a Shakespeare e al nostro mondo di teatranti facendo anche divertire usando un linguaggio vivo e attuale Volevo portare si la profondità delle sue opere ma anche rendere attuali i temi che tratta e che sono terribilmente veri oggi come ieri: Le sue opere parlano di questioni fuori dal tempo, universali. Ho provato a dare una risposta con questo spettacolo che non è una parodia di testi immortali né un collage degli stessi, quanto piuttosto un tentativo, attraverso una storia divertente e leggera, di fare capire perché mai le parole di quest’uomo catturano da quattro secoli il cuore di chi le ascolta. Vedere il pubblico divertirsi ed incuriosirsi a quello che abbiamo raccontato è stato il premio più grande, che ci ripaga di tutti gli sforzi e i sacrifici che facciamo ogni giorno per creare qualcosa di bello.

 

Come hai selezionato per i diversi ruoli i protagonisti? A tende chiuse, facendo un bilancio, modificheresti alcuni ruoli o confermi le scelte che hai fatto?

ENZO: Quando scegli un attore per un ruolo ti vai a inserire nell’intero flusso della sua vita, lo prendi con le sue esperienze e le sue caratteristiche uniche. Io cerco di sapere più che posso di ogni attore: mi interessa in primo luogo l’essere umano che c’è dietro. Solo se conosco l’uomo (o donna) posso sapere cosa l’attore sarà in grado di darmi in scena. Ho sempre una mia idea di base del personaggio, ma non la considero cristallizzata e immutabile: devo creare un insieme di persone che sia armonico e funzionale al lavoro che andremo a preparare. A questo segue poi una valutazione delle capacità tecniche, fra le quali tengo in massima considerazione quella di “comunicazione” dell’attore verso gli spettatori. La compagnia Bracci-Schneider è andata includendo tutti gli attori di valore che vi sono passati ed oggi è il risultato di un lungo percorso di lavoro e di vita. Angela D’Onofrio, Ramona Gargano e Silvia Falabella (che in questo spettacolo mi ha assistito alla regia) fanno parte del nucleo “storico” della compagnia: sono attrici dalle capacità straordinarie ed in grado di reggere qualsiasi palco a dispetto della loro giovane età. Olga Guseva è stata uno dei nostri nuovi “acquisti” recenti: volevamo parlare anche di diversità e lei è riuscita a trasmettere in maniera splendida il senso profondo della difficoltà di integrazione eliminando qualsiasi elemento di stereotipo del suo essere straniera. Alessio Salvatori è alla sua seconda presenza con Bracci-Schneider e si è confermato come carattere dalla comicità contagiosa.  Simone Destrero, Riccardo Bergo e Federico Melis hanno completato il cast con la loro è stupefacente capacità di passare dal comico al drammatico mantenendo inalterata la propria forza espressiva. Da ognuno dei miei attori ho preso tanto e loro sono stati protagonisti assoluti del successo di questo spettacolo. Non cambierei nessuno di loro, né il loro ruoli all’interno della commedia.

Prossimamente su questi palchi…?

ENZO: Nella nuova stagione saremo in scena dal 29 ottobre al 10 novembre al Teatro dei Conciatori con “Stato di grazia”, una commedia dolce-amara di Silvia Falabella, alla sua seconda opera dopo “D’amore e altre condanne”. A completare il cast, tutto al femminile, saranno Ramona Gargano e Angela D’Onofrio.  Seguiranno poi altri spettacoli per i quali non ci è stata ancora comunicata la data, ma vi terremo aggiornati sul sito della nostra compagnia (www.braccischneider.eu)