Di: Fabiana Carucci
Tra i vari servizi in uso nelle parti comuni condominiali, l’ascensore è uno di quelli che riceve più attenzioni. Nel codice civile è l’art.1117 che definisce le cose d’uso comune, inserendovi anche l’elevatore. “Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio (…) tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio (…) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo (…)”.
RIPARTIZIONE COSTI
L’ascensore è quindi considerato bene a favore ma anche a carico di tutti i condomini. Mentre un comproprietario, per suoi motivi può decidere di non servirsi dell’elevatore, nessuna eccezione è ammessa in merito alla ripartizione delle spese, come conferma la Cassazione con la sentenza 3624/2005. “(…) Precisato che la sola questione controversa fra le parti riguarda la ripartizione delle spese di gestione dell’ascensore (…); afferma la Corte d’Appello, per quanto riguarda gli ascensori, che la presunzione di comproprietà fra i condomini dell’impianto, è fondata sulla relazione strumentale necessaria fra esso e l’uso comune e poiché la destinazione al soddisfacimento dell’interesse dei partecipanti al Condominio, non ha per tutti pari intensità, ma varia in funzione del piano in cui si trova la porzione di proprietà esclusiva del singolo Condominio, il criterio di ripartizione delle spese, secondo la misura della partecipazione alla comproprietà del bene da parte dei singoli deve essere coordinato con quello della proporzione dell’uso che ciascuno può farne; per cui il principio desumibile dall’art. 1117 c.c. deve essere coordinato con quello stabilito dall’art. 1123 2° e 3° comma c.c. che individua il criterio di riparto in base all’uso differenziato (in particolare all’uso virtuale e non a quello effettivo); – e la disciplina applicabile agli ascensori deve essere analoga a quella stabilita per le scale dall’art. 1124 c.c. il quale rappresenta una applicazione della regola generale stabilita dall’art. 1123 2° e 3° comma c.c.. – Aggiunge la Corte d’Appello che se per le spese di conservazione delle parti comuni, essendo dirette alla tutela della integrità del valore capitale, può in astratto, ammettersi che esse siano dovute in proporzione alla quota di comproprietà; ciò non può ammettersi per le spese attinenti al godimento delle cose comuni, in quanto esse scaturiscono dall’uso, sicché legittimo è il criterio stabilito con la delibera 12.10.89, ribadito nella successiva delibera del 27.6.90 (cioè 50% dei millesimi di proprietà e 50% in base ai piani). Irrilevante, per la Corte d’Appello, è la circostanza che l’impianto sia stato realizzato mediante differenti contribuzioni volontarie da parte dei condomini dal momento che il criterio della proporzionalità alle sole quote di proprietà, non è idoneo a rappresentare la misura secondo cui ciascun condomino gode e fa uso dell’impianto (…)”. In sostanza quindi tutti i condomini sono tenuti a contribuire alle spese per l’ascensore, al 50% in misura proporzionale al valore della loro singola unità abitativa in rapporto a quella dell’intero immobile, ed all’altro 50% in rapporto al livello di piano occupato.
La sentenza cita l’art. 1124 del codice civile, il quale specifica che: “le scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo. Al fine del concorso della metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune”. La sentenza riporta poi all’art. 1123 del codice civile ove si spiega che: “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”. Vale la pena chiarire il concetto di diversa convenzione. Si sta infatti qui parlando di una diversa disposizione per la ripartizione spese. Tale decisione può esser posta o da un’eventuale delibera d’assemblea condominiale approvata all’unanimità, o da una disposizione del costruttore (piuttosto che dell’eventuale unico proprietario originale). In entrambi i casi, tale convenzione entra a far parte del Regolamento Condominiale a cui tutti i condomini devono attenersi.
D’utilità la pronuncia del Tribunale di Roma, sentenza n. 314 dell’11 gennaio 2016, secondo il quale è nulla la delibera assembleare che calcola l’assegnazione delle spese per il consumo elettrico dell’ascensore, calcolate a forfait, poiché trattasi di palese violazione di quanto disposto nell’art. 1123 co.3 del codice civile. In materia si è espressa anche la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 27016 del 15 dicembre 2011. “In tema di condominio , sono affette da nullità, che può essere fatta valere anche da parte del condomino che le abbia votate, le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini“.
Vale la pena spendere due parole sulla differenza tra Regolamento contrattuale e Regolamento assembleare.
Il Regolamento contrattuale viene stabilito fin dall’inizio dall’originario unico proprietario dell’immobile, o dal costruttore, e viene riportato sempre in ogni atto d’acquisto dei singoli appartamenti (si veda in merito quanto disposto in Cassazione 17/10/1959, n. 2933). Con questo si vincolano espressamente tutti i proprietari presenti e futuri. Da specificare che, comunque, essendo il Regolamento contrattuale la stipula di un accordo fra due parti contraenti, non può essere opposto a terzi estranei ad esso (quindi a persone diverse dai comproprietari presenti e futuri del Condominio), in quanto trattasi di un contratto a tutti gli effetti, vincolante per sua natura solo tra chi lo stipula. Vi è però un’eccezione, ossia il caso in cui il Regolamento contrattuale venga TRASCRITTO NEI PUBBLICI REGISTRI IMMOBILIARI. Definisce meglio in proposito la Cassazione con sentenza n. 2546 del 17/3/1994.
Il Regolamento assembleare è invece prodotto all’interno di un’assemblea costituita fra i comproprietari, con atti approvati a maggioranze definite per legge, come da art. 1136 comma 2 del codice civile. La delibera assembleare diviene vincolante, dal momento della sua emanazione, per tutti i condomini approvanti che sono quindi tenuti ad osservarla. La stessa però non vincola obbligatoriamente eventuali futuri proprietari che potrebbero opporsi ed impugnare, qualora la delibera sia un’eccezione (seppur consentita e prevista) alla vigente legislazione in merito. Questo perché tali ricorrenti non sono tra quelli che hanno approvato a suo tempo la delibera in questione e quindi non possono essere definiti contraenti della stessa ed obbligati al rispetto della convenzione stipulata fra i condomini deliberanti illo tempore.
La distinzione fra le due tipologie di regolamento emerge soprattutto in caso di delibera assembleare che riguardi non solo l’uso delle parti comuni, ma anche l’imposizione di limiti d’uso o destinazione con riserva d’esclusività di una parte della comune proprietà. Mentre infatti queste ultime limitazioni possono essere previste nel Regolamento contrattuale e rese note in origine al momento della sottoscrizione di ogni atto di vendita, NON possono essere deliberate in assemblea condominiale.
LIMITAZIONI E IMPEDIMENTI
Dispone l’art. 1102, del codice civile che “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno agli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.
Qualora sorgano serie dispute a vie legali fra il ristrutturante ed il Condominio, va immediatamente sottolineato che in caso di controversia è competente il Foro ove è ubicato l’immobile in questione e che in materia vale quanto disposto nell’art. 23 del codice di procedura civile. La nuova riforma in vigore dal 2013 ha reso a tutti gli effetti OBBLIGATORIO il tentativo di Mediazione Civile, prima di procedere con una causa. Nella procedura di Mediazione civile è competente il Mediatore assegnato nella zona d’ubicazione dell’immobile, così come da registri consultabili ed approntati dal Ministero di Giustizia. In sede di conciliazione il Condominio è rappresentato dall’amministratore, previa delega dell’assemblea con votazione a maggioranza dei presenti che devono comunque rappresentare almeno la metà del valore dell’edificio. Sarà poi compito dell’amministratore riferire in assemblea e ricevere istruzioni su cosa riportare in seconda convocazione dal Mediatore, indetta per accettare o rigettare il tentativo di conciliazione consensuale. L’assemblea condominiale, con la stressa maggioranza prevista per il conferimento della delega all’amministratore, si esprime tramite votazione per l’accettazione della proposta del Mediatore o il proseguimento verso una causa legale d’iter classico.
Anche nei Condomini ove vigono i rapporti più amichevoli, in caso di lavori di ristrutturazione in un appartamento ad esempio, c’è sempre chi manifesta contrarietà e perplessità particolarmente per l’uso delle scale e/o dell’ascensore da parte degli operai incaricati, al fine di trasporto materiali. In alcuni casi si arriva perfino ad impedire tale uso ma, è legittimo questo? Decisamente NO. Spieghiamoci: se l’utilizzo dell’ascensore e delle scale da parte della ditta incaricata dei lavori nel singolo appartamento rispetta la capacità di portanza ed i limiti previsti per legge, non crea danni e non va ad inficiare l’utilizzo da parte degli altri condomini, secondo quanto previsto dal d.p.r.162. NON SI PUO’ porre divieto d’utilizzo dell’ascensore. In caso di violazione, il Condominio può essere chiamato in causa dal condomino ristrutturante, nei confronti del quale è stato commesso un illecito. Vi è di contro il caso in cui l’utilizzo dell’elevatore e delle scale porta discapito agli altri condomini. In tal caso, ci chiarisce il quarto comma dell’art. 1117 del codice civile:“ in caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, l’amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’articolo 1136 “ del codice civile, secondo il quale, “sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio”.
Un ultimo cenno in caso di costruzione di un nuovo ascensore esterno, in un edificio che prima non lo aveva. In merito la Cassazione con sentenza 4726/2016 ha sancito la nullità della delibera assembleare atta ad approvarne la costruzione poiché nella fattispecie in esame, questi andava a ledere il diritto di un condomino: nello specifico, la gabbia di contenimento dell’elevatore andava a limitare la visuale del condomino ricorrente.