Di: Fabiana Carucci
Le molecole naturali che stimolano il sistema immunitario del paziente a combattere il cancro stanno portando ad ottimi risultati, superiori all’applicazione della chemio e radio terapia. Nuove tecniche naturali meno invasive e con un’impatto sugli indici di sopravvivenza e qualità di vita, nettamente superiore, fanno sperare in un futuro di prevenzione, cure naturali e una sopravvivenza alta con una sempre migliore qualità di vita.
Nel 2015 la neoplasia del rene ha toccato ben 10.400 italiani e, prima della decisione di utilizzare la molecola immuno-oncologica nivolumab, si registrava un tasso di mortalità molto alto.
Inizialmente applicata per Il melanoma, poi per il tumore del polmone non a piccole cellule (nelle due istologie, squamoso e non squamoso) ed ora per il carcinoma renale e i tumori del distretto testa collo, l’immuno-oncologia ha portato a far registrare già nei primi mesi d’applicazione la cancro renale un tasso di sopravvivenza al 27%. Il dato ha portato i ricercatori a decidere persino la risoluzione anticipata degli studi in ben 5 casi, proprio per i sorprendenti risultati ottenuti anzi tempo. Il prof. Sergio Bracarda, Direttore Oncologia di Arezzo ha in proposito specificato che “per la quinta volta in poco più di un anno uno studio su nivolumab è stato interrotto perché ha raggiunto in anticipo l’obiettivo”, mentre Il prof. Giacomo Cartenì, Direttore Oncologia dell’Ospedale Cardarelli di Napoli ha posto l’accento su un dato altrettanto determinante, ossia che in tal modo si “migliora anche la qualità di vita”, considerando che ben il 25% dei casi di tumore al rene viene diagnosticato in fase avanzata.
L’immuno-oncologia ha anche permesso un netto miglioramento di qualità della vita dei pazienti, visto che la sua principale azione è mirata ad una stimolazione naturale del sistema immunitario, portando lo stesso corpo del paziente a lottare naturalmente contro la malattia, in modo rafforzato. Sempre il prof. Bracarda spiega in proposito che l’utilizzo della tecnica immuno-oncologica ed i suoi immediati ed ottimi risultati dimostrano come “il meccanismo d’azione dell’immuno-oncologia ha un’efficacia trasversale, non limitata a una sola patologia, proprio perché stimola il sistema immunitario rinforzandolo nella lotta contro la malattia. Il nivolumab è approvato negli Stati Uniti e in Europa per il trattamento dei pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato precedentemente trattati. Lo studio di fase III che ha portato alla registrazione della molecola ha evidenziato un aumento della sopravvivenza del 27%, pari a più di 5 mesi, rispetto allo standard di cura (25 mesi rispetto a 19,6 mesi)”.
Ritornando alla specifica del tumore al rene ed andando a monitorare l’andamento della patologia nell’arco di anni dal 1990 al 2007, ne è risultato che la sopravvivenza a 5 anni era intorno al 10%, contro i risultati dei casi diagnosticati più di recente ove si registra il 69% di sopravvivenza per gli uomini e il 73% per le donne.
Il grande balzo in avanti si è registrato con la diagnosi precoce per immagini, la quale ha permesso di individuare in modo quasi casuale ben Il 60% circa delle neoplasie, in pazienti del tutto non sospetti. Nonostante questo, ancora ora va sottolineato che “circa un quarto delle diagnosi avviene in stadio avanzato, con limitate possibilità di trattamento – come ha voluto far presente il prof. Cartenì che ha poi proseguito dicendo che – nel cancro del rene la chemioterapia e la radioterapia si sono dimostrate, storicamente, poco efficaci. Globalmente, il tasso di sopravvivenza a cinque anni, nei pazienti che ricevono diagnosi di tumore del rene metastatico o avanzato, è del 12,1%. Pertanto la disponibilità di nuove armi come nivolumab potrà migliorare in maniera significativa la capacità di gestione complessiva di questa neoplasia. Nell’immuno-oncologia il beneficio clinico deve essere osservato in base alla sopravvivenza e può invece sfuggire se si utilizzano i parametri ‘classici’ rappresentati dalla risposta oggettiva o dalla sopravvivenza libera da progressione. Va inoltre messo in evidenza l’aumento significativo dei pazienti vivi nei diversi tempi di osservazione. In uno studio di fase 1, con un follow-up a 3 anni, è stato evidenziato il 44% di pazienti vivi”.
D’importanza cruciale è anche la qualità di vita di chi sopravvive. In proposito si è espresso ancora il prof. Carteni che ha voluto ricordare come: “nello studio di fase III i pazienti trattati con nivolumab hanno manifestato un miglioramento dei sintomi correlati alla malattia e della qualità di vita rispetto allo standard di cura. I risultati hanno evidenziato che entro 20 settimane di terapia, i pazienti trattati con la nuova molecola hanno manifestato un significativo miglioramento dei sintomi, mentre i pazienti trattati con lo standard di cura hanno mostrato un evidente deterioramento entro la quarta settimana”.
Antesignano del nivolumab, già l’ ipilimumab, il primo farmaco immuno-oncologico approvato, fece registrare nei casi di melanoma una sopravvivenza del 20% dei pazienti a distanza di 10 anni. “I dati a disposizione sono ancora poco maturi per utilizzare il termine lungosopravviventi nel carcinoma renale – ha infine detto il prof. Bracarda – ed è necessario un follow up più lungo. Ciò che emerge è comunque l’aumento significativo di pazienti vivi nei diversi tempi di osservazione. Alla luce della tendenza già vista in precedenti studi con farmaci immuno-oncologici, è possibile che queste percentuali di sopravvivenza si mantengano anche negli anni successivi e che quindi si possa in futuro parlare di lungosopravviventi. Si stanno aprendo inoltre ulteriori prospettive molto interessanti grazie ad altri studi che stanno valutando combinazioni di farmaci, quali ipilimumab e nivolumab, atezolizumab e bevacizumab e altre ancora”.