di: Giorgia Sbuelz
Vincenzo Panza, noto ai più come Sancio, proviene da una terra ricca di colori, profumi e soprattutto suoni. E’ nato infatti a Salerno, il 16 gennaio 1975, e cresciuto a Maiori: località queste che sono notoriamente punto d’incontro di culture e scambi fra popoli, e che molto hanno contribuito alla diffusione di sonorità e contaminazioni musicali.
Col mare d’accompagnamento e una famiglia che già contava musicisti e amanti della musica, per Sancio è stato più che naturale cominciare fin dall’infanzia a “giocare” con le note: suo padre gli regalava ogni sorta di strumento per incoraggiarne l’approccio e farlo divertire con i suoi cuginetti più grandi che già suonavano.
Come ricordi i tuoi primi passi nella musica?
Ho cominciato grazie a mio padre che mi comprò un sassofono, anche se non ho mostrato da subito un grosso interesse per la musica. La presa di coscienza avvenne verso i 14 anni quando, durante la classica gita scolastica, un compagno mi fece ascoltare “We Will Rock You” dei Queen. L’impatto che hanno avuto i Queen sulla mia percezione musicale fu impressionante e decisivo. Passavo il tempo ascoltando e riascoltando “Bohemian Rapsody”, in particolare i cori del brano, che mi ipnotizzavano letteralmente. Da quel momento ho preso una tastiera e ho cominciato ad imitare Freddie Mercury per come potevo.
E il basso come è arrivato?
Nel più classico dei modi… Mi piaceva una ragazza e volevo fare colpo su di lei! Avevo trascorso l’estate ad esercitarmi risuonando i pezzi dei Pink Floyd e dei Queen utilizzando solo le prime corde della chitarra per simulare il basso. Quando ho saputo che cercavano un bassista per la band della scuola mi sono proposto, anche se l’audizione non è stata un granché: mi fecero suonare un basso a cinque corde, invece di quattro, e sbagliai tutte le posizioni. Nonostante tutto entrai nel gruppo e riuscii ad esibirmi. Nel primo concerto suonai solo due brani, fu comunque entusiasmante, soprattutto per il fatto che fossero presenti i miei genitori e, anche se si sentiva che ero ancora “grezzo” , la soddisfazione che ne seguì mi spronò a suonare ancora e meglio.
Come hai proseguito?
Ho continuato suonando e apprendendo il più possibile da autodidatta, fino a quando sono entrato a far parte dell’ Orchestra dell’Università di Fisciano, Salerno. Da lì in poi è cominciata la mia professione di bassista.
Quale esperienza stai portando avanti nel tuo presente?
Attualmente sono un insegnante associato AIGAM, che è l’Associazione Italiana Gordon per l’Apprendimento Musicale. Insegno ai bambini da zero a 5 anni, anzi faccio proprio musica con loro e per loro, utilizzando il Metodo Gordon.
In cosa consiste il “Metodo Gordon”?
Secondo Edwin Gordon, che è un professore dell’ Università della South Carolina, la musica può essere appresa dai bambini attraverso gli stessi meccanismi di apprendimento della lingua madre. Come il bambino con naturalezza impara la lingua parlata, così può apprendere la lingua musicale. Basta immergerlo in un ambiente ricco di musica lasciandogli scoprire i suoni “utilizzando sillabe”, proprio come quando pronuncia le prime parole. Queste sillabe altro non sono che suoni melodici e ritmici: la ripetizione, le combinazioni e le variazioni determinano un linguaggio, che è quello musicale. In questo modo l’apprendimento avviene del tutto spontaneamente, con risultati che, da insegnante, mi riempiono di soddisfazione.
Oltre all’insegnamento hai altri progetti?
Faccio parte di un trio, i “Bakivo”: basso, chitarra e voce. Riproponiamo tutti i maggiori successi dagli anni ’70 ad oggi, li personalizziamo e ci divertiamo facendo divertire.
Come percepisci il panorama musicale oggi?
… In maniera veramente “Trash”, per utilizzare una parola molto in voga, e che , parliamoci chiaro significa “Spazzatura”… Credo che si stia facendo dell’arte in generale un grosso contenitore “Trash”. Le etichette più grandi si affidano a programmi televisivi, che si affidano agli sponsor, che si affidano a loro volta a dati auditel. Le scelte musicali vengono quindi effettuate sul business dell’apparire e non sull’ascoltare.
Quindi che senso ha oggi scegliere la musica come professione?
Personalmente non potrei fare altrimenti. L’importante è non credere ad un sogno: bisogna crescere, formarsi, a volte adattarsi. Non smettere mai di aggiornarsi e di prepararsi. Questo fa il musicista di professione, oltre ad assecondare un forte istinto, ovviamente. Lo paragonerei al bisogno di respirare e di dissetarsi.
La tua esperienza più significativa e formativa?
Suonare con Billy Preston!
Ce ne vuoi parlare?
Billy Preston è stato considerato da sempre “il quinto Beatles”, scomparso anni fa, è stato un pianista incredibile. Ha collaborato con i Rolling Stones, Eric Clapton e Bob Dylan per citarne alcuni, ma è rimasto famoso per la stretta collaborazione con i Beatles, compare anche nel film documentario dell’ultimo concerto del gruppo, in cui suonava il Rhodes, il piano elettrico. Ho avuto la fortuna di suonarci insieme nel 1997 a Forte Village, in Sardegna, all’epoca non sapevo nemmeno chi fosse esattamente. Per me fu una sorta di trauma, avevo poca esperienza, facevo del mio meglio ma non sempre riuscivo a seguirlo. Furono due mesi di momenti incredibili. Spesso si arrabbiava con me, perché non riuscivo a capirlo mentre chiamava gli accordi in slang americano, poi alla fine mi perdonava perché, così diceva, gli ricordavo il suo amico George… Sì, proprio George Harrison dei Beatles. Immagino fosse per il mio carattere.
Ultima domanda: ci dici come andò a finire con quella ragazza?
(Ride)… Scappò col batterista del mio gruppo… io però cominciai la mia avventura!