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La domesticazione delle piante

9 Marzo 2015 - SCIENZA RICERCA SALUTE

La domesticazione delle piante

Di:Francesco Salamini

Università di Milano

 

L’addomesticamento delle piante è iniziato attorno a 13.000 anni fa nella Mezzaluna fertile in Asia minore, 10.000 anni fa in Cina, Mesoamerica, Ande, e Oceania e, nell’Africa e Nord America, 8.000 anni fà. L’addomesticamento rappresenta l’inizio della divergenza dei tipi coltivati dalla specie selvatica. Le piante addomesticate appartengono a 160 famiglie tassonomiche: in tutto sono 2500  specie delle quali 250 completamente addomesticate. I risultati degli scavi archeologici indicano che l’addomesticamento può essere stato preceduto da un periodo di pre-addomesticamento con semina deliberata delle specie selvatiche, periodo che può essere durato anche 2000 anni. Una origine polifiletica delle forme addomesticate è accertata per il 19 % dei casi analizzati. Addomesticamenti polifiletici sono quelli dell’orzo, fagioli, zucca peperone, riso africano; le altre specie sono in maggioranza state addomesticate solo una volta. Delle circa 200 specie addomesticate, il 17 % sono poliploidi e il 19 % hanno varianti diploidi e poliploidi, condizioni frequenti nelle specie perenni. La sindrome da addomesticamento si riferisce a: perdita della dormienza; aumento della grandezza degli organi; modifiche nell’architettura delle strutture riproduttive; ploidia (quando notata); perdita della  disseminazione dei semi; modifiche dei metaboliti secondari come sostanze amare o antimetaboliche; cambiamenti di colori e morfologie. L’84% delle specie ha una sindrome espressa in 2-5 caratteri.

 

I cambiamenti nei caratteri della domesticazione delle piante non sono sempre stati graduali. Spesso sono stati indotti dalla comparsa di alleli con un forte effetto fenotipico e una base genetica semplice, se non addirittura monogenica. I geni dell’addomesticamento sono quelli che: controllano un carattere specifico solo delle forme addomesticate; o sono stati sotto selezione positiva, o un allele particolare si è fissato nelle varietà coltivate. I geni o QTL della sindrome da addomesticamento vanno da 6 a 26 per 9 caratteri del mais e 76 per 13 caratteri del riso. Dei geni clonati, 37 codificano per fattori trascrizionali e 14 per proteine enzimatiche. L’approccio all’addomesticamento ha anche utilizzato la genomica: risequenziamenti del DNA di gruppi di linee selvatiche e coltivate permettono di identificare: 1) la struttura dei gruppi, 2) i colli di bottiglia (riduzione della variabilità nucleotidica associata all’addomesticamento), 3) i blocchi genici con elevato Linkage disequilibrium (marcatori concatenati che non vengono assortiti a caso), o 4) con Selective Sweeps (le mutazioni rese omozigoti trascinano una regione genomica e si riduce, localmente, la diversità nucleotidica; permettono di elencare le regioni genomiche che sono state selezionate durante la storia evolutiva delle forme coltivate), e 5) la mappatura di QTL e geni dell’addomesticamento. Dal 3 al 4 % del genoma può essere stato implicato nell’addomesticamento (75%) e nel miglioramento genetico che lo segue (25%). In mais è stata chiarita la formazione dei gruppi eterotici e il  2-8 % degli SNP considerati mostrano evidenze di selezione direzionale. I numeri possono essere sottostimati: nel mais almeno 500 regioni genomiche sono coinvolte, circa 2000 geni, con segnali di selezione direzionale. Molti dei geni dell’addomesticamento hanno funzioni regolative ed è comune notare che gli alleli selezionati hanno lesioni molecolari che conducono alla perdita della funzione, incluse mutazione non-senso, o frameshift, o delezioni-inserzioni. Gli elementi trasponibili sono causa di mutazione nel 15% dei casi. I dati genetici possono contribuire a chiarire l’epoca  temporale degli eventi di addomesticamento e la loro durata. Questa si può desumere dalla significatività dei colli di bottiglia genetici osservati e dalla diffusione rapida o lenta di alleli genici tipici delle forme addomesticate, dove l’estensione genomica dei selective sweeps è più o meno grande nell’intorno dell’allele. Anche le mappe QTL possono contribuire significativamente.

Nel Levante (anche Oriente Vicino o Medio Oriente), 10.000 anni prima dell’adozione dell’agricoltura iniziò la raccolta sistematica a fini alimentari di semi selvatici. A Ohalo II (Levante del Sud) gli abitanti raccoglievano ghiande e mandorle nella steppa alberata e semi selvatici dei progenitori del frumento monococco e dell’orzo. L’inizio della coltivazione intenzionale di piante è riconducibile alla fine del Younger Dryas, un periodo di circa 1200 anni freddo e secco. Mark Nesbitt, dei Royal Botanic Gardens di Kew, a Londra, esclude che la domesticazione dei cereali sia avvenuta prima di 10.500 anni fa, e cioè nel Neolitico pre-ceramico A. Ci sono prove di domesticazione nel Neolitico pre-ceramico B precoce del sud-est dell’Anatolia in siti come Nevali Cori, Cafer Höyük e Çayönü. L’orzo coltivato, domesticato nel Levante del sud, compare a metà del Neolitico pre-ceramico B (10.000 anni fa). È nella regione posta tra l’alto corso del Tigri e dell’Eufrate che è stata identificatala core area  dove sono stati domesticati frumento monococco, frumenti tetraploidi grano duro e spelta, lenticchie e cece. Recenti studi sulla geografia della domesticazione del monococco, basati sulla sequenza del DNA di 18 geni, confermano che il progenitore selvatico di questa specie (razza β di Triticum boeoticum) proviene da popolazioni che si ritrovano sulle alture della catena montuosa del Karaca Dag˘, al centro della core area; la razza β è probabilmente stata coltivata tal quale, dando poi origine a domesticazioni indipendenti. Questo «modello di dispersione specifica» deriva da dati molecolari attestanti che la variabilità genetica nel gruppo di genotipi addomesticati è simile a quella dei selvatici. Anche grano duro e spelta sono derivati dalle popolazioni selvatiche di Triticum dicoccoides che ancora si trovano attorno al Karaca Dag˘. Tuttavia le forme coltivate potrebbero aver avuto, nel corso della domesticazione o dopo, ibridazioni con genotipi selvatici delle montagne turche del Kartal-Kara Dag˘ e dell’Iran-Iraq. Anche per questi frumenti potrebbe essersi verificata un’adozione-domesticazione simile a quella descritta per il monococco. Nel levante, il processo di domesticazione di piante e animali può anche essere durato secoli: è possibile che all’inizio le coltivazioni e lo sfruttamento animale riguardassero forme selvatiche. A favore di questa ipotesi vengono citati studi sui sistemi agricoli attuali del Levante in cui è presente un complesso di specifiche erbe infestanti. Quando il complesso si trova nei siti archeologici, si può ritenere che fosse in atto un’attività agricola, anche se i semi carbonizzati testimoniano che di piante selvatiche si trattava. Se ne conclude che l’agricoltura è iniziata con l’allevamento di piante selvatiche attorno a 11.500 anni fa; solo dopo 1000 anni negli scavi compaiono i resti tipici delle forme domesticate.