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NONNO DARIO E LA GUERRA

16 Febbraio 2013 - ARCHIVIO

Siamo nell’ambito di un progetto scolastico, ove si vuole creare un incontro fra le “vecchie” generazioni e le nuove. Così i nonni vengono chiamati a raccontare ai bambini delle elementari le loro esperienze di vita della propria fanciullezza: in particolare si fa riferimento al periodo della Seconda Guerra Mondiale, anche in corrispondenza con il “Giorno della Memoria” da poco celebrato in ricordo delle deportazioni degli Ebrei nei Campi di Sterminio.

Questo progetto vuole creare un collegamento generazionale che, forse, la frenesia di questi tempi, ha un po’ deteriorato.

 

Di: Fabiana Carucci

 

NONNO DARIO E LA GUERRA

 

Nonno Dario è nato il 4 giugno del 1938 a Roma. Quando era bambino c’era la seconda guerra mondiale ed il piccolo Dario racconta quello che ha visto e vissuto all’epoca, con i suoi occhi di bambino.

 

“La mia era una delle famiglie numerose che vivevano al Quarticciolo, un quartiere romano alla periferia est, costruito proprio in tempo di guerra per ospitare famiglie con molti figli, provenienti da ogni parte della città e ciascun angolo d’Italia. 

 

Tutto era differente da ora: stavamo in piena seconda guerra mondiale e dove adesso ci sono i palazzi e le strade allora c’erano prati, colline, caverne, anfratti. Così, in una collinetta appena sopra al mio quartiere in direzione Tor Tre Teste, stavano appostati i soldati americani che combattevano contro quelli tedeschi, i quali invece si erano rifugiati dalla parte opposta, al Borgo Don Bosco: in mezzo c’era il Quarticciolo. Una volta, durante un combattimento, una cannonata sfondò un appartamento all’ultimo piano di un palazzo, il lotto uno. Si, perché i palazzi del Quarticciolo erano chiamati  lotti ed erano numerati. La palla di cannone che aveva colpito l’angolo del palazzo e distrutto l’appartamento cadde poi di sotto e sfondò anche il cancello del palazzo di fronte, il lotto decimo. Una gran paura! In seguito, negli anni ’50 nel dopoguerra, tutti i cancelli che delimitavano i lotti vennero rimossi. In tempo di battaglie, invece, tutto era separato e chiuso perché ogni cosa o persona dovevano essere limitati e sotto controllo: così avevano predisposto i tedeschi ed i fascisti che allora dettavano legge.

 

Quando io ero piccolo, le truppe degli alleati stavano combattendo contro quelle dei tedeschi e tutta la città, come pure il resto d’Italia, era un campo di battaglia dove si scontravano. La popolazione si trovava perciò costantemente in mezzo alla guerra e correva pericolo. Si viveva stando sempre molto attenti: il cibo, i vestiti, ogni cosa era razionata. I bambini giocavano per strada e sotto i cortili delle case, anche perché non si andava a scuola prima dei sei anni; non esisteva il nido. Gli adulti dovevano lavorare e badare alla casa ed alla famiglia e, per quanto cercassero di tenerci d’occhio, a volte un bombardamento improvviso o qualche rappresaglia tedesca contro i simpatizzanti degli alleati o contro i partigiani della resistenza, piuttosto che combattimenti in strada, o proiettili vacanti, o bombe e munizioni lasciate incustodite e prese per giochi, si rivelavano fatali per i bambini. Alcuni morivano, altri restavano mutilati per sempre. Ma la vita purtroppo era così allora.

 

Quando i due eserciti si combattevano piovevano pallottole a tutto spiano e spesso i bambini che giocavano, ma anche i grandi che passavano, rischiavano la vita se non correvano subito a nascondersi. C’erano poi anche le lotte civili interne tra partigiani e fascisti.

 

In particolare, ricordo una volta che avrò avuto 5 anni ed assieme a mio fratello ancora più piccolo giocavamo a fare le dighe sul fiumiciattolo di acque reflue che chiamavamo, la marana, che si trovava dove oggi passano i binari del tram 14, sulla via Palmiro Togliatti: La marana era il campo di gioco dei bambini e separava di fatto il quartiere del Quarticciolo da quello di Centocelle. In seguito venne interrata e sopra vi fu costruita la strada. All’epoca però, noi eravamo piccoli e non capivamo il pericolo: ci interessava solo giocare: perciò nemmeno sentivamo le sirene che annunciavano l’arrivo degli aerei bombardieri tedeschi (era verso la fine della guerra e le truppe della Germania erano in ritirata con l’avanzamento della liberazione degli alleati) che sparavano a vista su tutto e tutti quelli che vedevano, non solo per colpire direttamente i soldati; ferivano ed uccidevano anche la popolazione civile: spesso c’erano delle rappresaglie contro gli italiani che agl’occhi dei tedeschi erano dei traditori. Alcuni cittadini si erano infatti uniti in gruppi di resistenza interna contro i nazisti e si facevano chiamare partigiani: questi erano combattenti veri e propri ma c’erano anche altri cittadini che simpatizzavano e segretamente li aiutavano. Altri invece preferivano stare dalla parte dei tedeschi ed erano nelle truppe dei fascisti o per questi parteggiavano. Non sapendo chi degli italiani ancora era dalla parte loro e chi degli americani, le truppe tedesche colpivano a caso, alcune volte.

 

Noi bambini di queste cose politiche non ci interessavamo: noi, come tutti i piccoli di ogni epoca, volevamo solo giocare ed essere spensierati: così facevamo dighe e barchette in riva a la marana mentre quelli dall’alto avevano iniziato a sparare. Le sirene servivano alla popolazione per avvisare di mettersi al riparo. Fu un vero miracolo se non ci colpirono e, per fortuna, qualcuno avvisò nostro fratello più grande che di corsa venne a prenderci, rischiando lui stesso la vita per portarci finalmente al riparo. Purtroppo le cose non andavano sempre così bene. Alcuni nostri amichetti che giocavano nei prati vicino ai lotti dei palazzi ebbero una bruttissima avventura. Oggi i prati non ci sono più perché ci hanno costruito altri palazzi, ma allora lo spazio verde libero era tanto. Sui prati erano stati depositati, in attesa di poter essere montati sui tetti dei palazzi, dei cassoni per l’acqua potabile che così sarebbe arrivata direttamente nelle case (fino ad allora per avere l’acqua le famiglie dovevano andare a prenderla all’esterno). Nel frattempo i soldati tedeschi usavano di nascosto i cassoni, ancora vuoti e lasciati li sul prato, per nasconderci delle bombe a mano a forma di pigna. Alcuni bambini che giocavano scambiarono le bombe per frutti e scuotendoli per romperli e prendere il frutto, li fecero esplodere Qualcuno morì purtroppo: altri amichetti furono gravemente feriti o amputati. Era la guerra ed il pericolo era all’ordine del giorno.

 

I soldati tedeschi passavano e prendevano con la forza tutti i giovani maschi dai 13 anni in su per fargli costruire le trincee da dove si dovevano difendere dagli alleati. La sera quelli che scavano erano rimandati a casa propria a dormire ma, se il giorno dopo non si presentavano di nuovo spontaneamente in trincea per scavare, venivano presi coattivamente ed a volte malmenati, carcerati o, peggio.

 

Ogni tanto passavano i soldati tedeschi assieme alle ronde del fascio e portavano via qualcuno. Io però ero piccolo e non sapevo bene se quelli che portavano via erano ebrei che prendevano per i campi di sterminio, o piuttosto collaborazionisti italiani, partigiani, o altro ancora: di sicuro c’era da stare attenti. La sera, in particolare, vigeva il coprifuoco che scattava con lo scendere del buio. Tutti dovevano chiudere le finestre e le luci i
n casa e se qualcuno, come una volta fece mia sorella più grande, si tratteneva anche solo con una debole luce per cucire (lei era sarta e doveva lavorare), le ronde passavano e sventagliavano le persiane col mitra urlando di spegnere subito. 

 

Erano tempi difficili, tutto era razionato e si faceva spesa solo con le tessere familiari dove era segnato quante persone componevano una famiglia: in base a questo veniva distribuito il mangiare razionato. Si faceva così perché con la guerra le cibarie scarseggiavano e la maggior parte erano destinate ai soldati in guerra; per la popolazione perciò restava poco, anche perché il grosso delle fabbriche e delle colture era fermo, e quel poco andava razionato per poter bastare per tutti. Ricordo che, in particolare, spettavano due ciriole di pane a persona, ossia due piccole pagnottelle di circa un etto l’una. Mio fratello piccolo era perennemente affamato così, mia sorella maggiore ogni tanto tagliava le puntine alle estremità delle ciriole e le metteva li sul tavolo, incustodite; non gliele dava direttamente ma sapeva che lui le avrebbe prese di corsa e, qualche volta le prendevo anch’io. Quella era la nostra “merendina”.  

 

La mia era una famiglia con 10 fratelli e con noi, mio padre e mia madre, viveva anche zio Pasqualino. Zio, papà ed i fratelli più grandi andavano a lavorare fuori Roma alla riparazione delle ferrovie danneggiate dai bombardamenti ed alla costruzione del viadotto di Orte. Quando a turno tornavano a casa, il sabato, ci portavano una pagnotta di pane e quello che avevano raccolto dai treni bombardati, come ad esempio il riso o, più spesso, pezzi di tessuto dei sedili con cui nostra sorella sarta una volta cucì dei giubbotti per l’inverno per noi.

 

Quando la guerra finì il Paese era tutto disastrato e si viveva davvero con poco, tanto che adesso a ripensarci stento a credere anch’io che l’ho vissuto, che così era il mondo 70 anni fa. Davvero tanto diverso da oggi. Tutto era distrutto a fine guerra ma in pochi anni iniziò la ripresa e le cose cambiarono rapidamente, in meglio. Ma questa è un’altra storia.